Il caldo

IL CALDO
(ovvero: che fare, se non ti vedo alle 16?)

Appoggiato al davanzale del balcone condominiale, Luigi Ippolito fissa il vuoto senza distogliere lo sguardo. Non è un vuoto qualunque, bensì un vuoto con una sua forma, un’immagine precisa, netta, palpabile. È il vuoto di una porta chiusa. A furia di fissare, la porta inizia a perdere i confini, è come uno di quei disegni perfetti, senza una sbavatura di colore fuori  dalle linee. Eppure in quel marrone scuro a Luigi pare di naufragare senza la possibilità di vedere la riva. E come capita quando ci si fissa, non si vede più né attorno né dentro la figura fissata. Manco si riesce a identificare il pomello ormai, per via di questo fissare, fissare, fissare. È il 15 Agosto, sono le 16, tutto sembra dire a Luigi di rimanere chiuso in casa ed evitare di entrare in contatto con l’afa. È l’età delle raccomandazioni: bere acqua, mangiare frutta e verdura, non uscire durante le ore calde. Ma è anche l’età della trasgressione, la vera trasgressione. Non quella dei quindici anni, non quella dei trenta (quella dello svincolarsi dalle buone maniere e dal modo convenzionale di intendere la vita), è la trasgressione degli 80, di chi non vuole stare più a sentire nessuno, perché tutti coloro che gli parlano sono più giovani e hanno meno esperienza. In questo momento, pervaso da dolori muscolari, da un lento procedere e da un’oggettiva impotenza sessuale, in questo momento si assapora la libertà. Puoi fare tutto quando ti accorgi di non poter più niente. Non hai freni di linguaggio, di pensiero, di identità. A Milano non c’è nessuno. Ma è un’estate insolita. Oggi, per esempio, che è Ferragosto, l’Istat in collaborazione con l’Associazione dei Consumatori, ha constatato che più del 70% degli italiani non è in vacanza in questo momento, ma è semplicemente rimasta a casa, barricata. La popolazione non si è nemmeno riversata nei parchi, a ridosso dei laghetti artificiali (o naturali, si intende, dal momento che i trovano a mezz’ora di macchina). Il mare, oggi, è un lusso. Ed è un lusso da irresponsabili: da tempo ormai se si vuole girare liberi per le strade bisogna possedere un lasciapassare, fornito dalla Polizia di Stato. La convinzione di fondo consiste nel fatto che per uscire con questo caldo bisogna avere un valido motivo, ad esempio quello lavorativo. Altra regola che Ippolito trasgredisce concedendosi la passeggiata mattutina dalle 7 alle 9. Ma sarebbe anche l’unico orario possibile per fronteggiare l’afa e risvegliare i muscoli. Ad ogni modo, la concentrazione di Ippolito non cede nemmeno quando la porta marrone situata accanto alla porta marrone che sta fissando, si apre di scatto. Il vicino di casa sri lankese sta uscendo con in mano un sacchetto biodegradabile dell’umido. Saluta, convinto che Ippolito si possa accorgere lateralmente di lui, e invece niente. O meglio, Ippolito si accorge benissimo di lui, ma ricambiare vorrebbe dire distogliere l’attenzione dal marrone della porta marrone. E questo non è possibile. Eppure sono le 16.10. E non è la prima volta che avviene questo ritardo. Luigi Ippolito inizia a insospettirsi,  a chiedersi come mai un ritardo come questo. Sono ormai diversi giorni che ci si dà appuntamento alle 16. C’era anche un cartello in portineria, diceva “Alle ore 16 tutti fuori dal balcone a cantare canzoni di solidarietà nel tentativo di scacciare via questo caldo impellente”. Alcuni vicini si sono creati una vera e propria playlist da trasmettere, hanno scaricato le basi mp3 e agganciato il microfono alle loro casse. Da qualche giorno però le persone che cantano al balcone sono sempre meno. E quelle poche che rimangono perdono la pazienza subito, per poi decidere di tornare dentro. Altre invece si ammalano e non possono continuare quest’attività. Il motivo? Neanche a dirlo, il troppo caldo. Ma in questi giorni una persona su tutte, è rimasta lì, imperterrita, a trasmettere un’audiocassetta da un registratore di quelli che non si vedono più da anni, sia perché non se ne vendono uguali ma soprattutto perché fa parte di quegli oggetti del passato che da un giorno all’altro smettono di funzionare senza un motivo preciso, se non forse la noia di vivere in un mondo di oggetti ultra aggiornati. È la signora Anna, scala C, 81 anni. La proprietaria di un appartamento la cui porta è quella marrone che Luigi Ippolito contempla senza che la palpebra, sbattendo su se stessa, la cancelli.  La signora Anna si è sempre presentata con un po’ di ritardo, rimembra ora Ippolito. E la speranza che anche oggi si presenti è legata a questo per nulla irrilevante dettaglio. La signora Anna vive in questo stabile da quando era bambina; i genitori si sono trasferiti qui nel dopoguerra, quando era ancora piccina. Quando Ippolito venne ad abitare in questa casa di ringhiera con la moglie ormai defunta, Anna viveva già qui con i propri genitori. Da subito Ippolito si accorse di lei: era una donna elegante, estremamente legata al padre e alla madre da un amore viscerale: il padre era uno dei più importanti collezionisti di opere d’arte e lei, avendo frequentato in maniera indiretta quel mondo, decise di dedicare la sua vita alla pittura. E sul perché non si fosse mai sposata, Anna ha sempre risposto che sarebbe stato tempo sottratto al dipingere. E casa sua, già dall’anteprima che si vede aprendo l’uscio, è un magazzino infinito di dipinti esposti con un criterio museale impareggiabile.  Anna ha sempre dipinto da casa, rifiutando l’en plein air e il concetto di “studio” o “laboratorio”. In qualche modo faceva già smart working da prima che diventasse la prassi. Adesso che è l’età della trasgressione, Ippolito può dirlo, a se stesso e agli altri – anche se gli altri non esistono più, non avrebbe nessuno a cui dirlo, e nessuno comunque lo vorrebbe sapere – di essere innamorato di Anna, di esserlo sempre stato, anche quando sua moglie era in vita. Anche quando c’erano motivazioni valide per essere distratti da questa tentazione, come per esempio i due figli, il tempo a loro dedicato. Anche se nella vita “ci sono cose più importanti”. Anche con questo nemico invisibile, il caldo, si sente innamorato follemente. E l’amore, nell’età dell’impotenza, è un piacere ancora più amplificato. Adesso forse può ritenersi vero amore. Adesso che la sua immagine è così svincolata da tutte le altre possibilità che questa vita poteva offrire, e che magari ha pure offerto, ma si è stancata prima di noi. E  io e te, Anna, siamo sopravvissuti anche a questo. Eppure sono le 16.30. Ti sei davvero dimenticata di questo appuntamento? Hai rinunciato anche tu a tutto questo in nome di una riservatezza e di un rispetto? Anna, vuoi che urli di uscire da quella porta? Anna, dove sei? È l’unico momento della giornata in cui i minuti scorrono prepotentemente. Tutto il resto dell’estate ha avuto una cadenza così lenta, così dolorosa per certi aspetti. Quell’ora, dalle 16 alle 17, è invece sempre stata contraddistinta da una velocità inspiegabile. È questo che accade quando si sta bene? Per un istante soltanto, Luigi Ippolito distoglierebbe la propria attenzione da quella porta, in ciabatte e maglietta della salute giungerebbe lì davanti e suonerebbe il campanello. Ma si ricorda delle accortezze cui tutti, gli anziani specialmente, sono sottoposti in questo periodo. Presentarsi davanti casa, o praticamente in casa, non solo sarebbe un’invasione, ma distruggerebbe anche la concezione di distanza di sicurezza tra le persone, imposta dal buon senso nonché dal Governo. È ormai diffusa la convinzione che per sconfiggere il caldo, due persone non devono posizionarsi a una distanza ravvicinata. E allora che fare, se non ti vedo alle 16? Quando anche l’ultimo scalino di questa rampa ha concepito un suo concetto personale di malinconia, quando anche i secondi iniziano a concedersi una pace apparente e a rallentare, come se ormai nulla fosse da raggiungere, come se l’esistenza stessa di un secondo non sia più quella di partecipare alla staffetta col secondo successivo ma semplicemente fermarsi ed esistere, esistere finalmente per quello che si è. Quando anche l’abbaio del cane della portinaia inizia a desistere dal cadenzare il tempo come un orologio, la sentenza del ragioner Vittorio Marelli, due porte accanto a Ippolito, uscito di casa per concedersi il consueto rito di riscaldamento e stiramento dei muscoli, risuona come un bollettino di guerra: – L’hanno portata via stamattina. Il caldo l’ha contagiata. Pulendosi le lenti sulla maglietta della salute sporca, il ragioner Marelli fa un cenno e torna dentro casa, quasi fosse stato un errore uscire per quei pochi secondi. Ippolito, che nel frattempo non ha nemmeno voltato la testa verso il suo confidente, non viene fisicamente sconvolto dalla notizia. E rimane immobile a guardare la porta. Quella rigida porta animata, che mai più si aprirà prima della fine del caldo. Mai più visiteranno quella casa i figli, i nipoti.
Cullato dal caldo e dal profumo di niente che aleggia intorno, Luigi Ippolito ha ora una rivelazione, che può a tutti gli effetti ritenersi l’unica verità individuata in 80 anni di esistenza: – Trasgredire è anche rimanere fermi. Io non mi muovo da qui.